Lunedì dottoressa Maria?

Lunedì dottoressa Maria?

In mezzo a tutte queste parole, vorrei dire qualcosa anche io.

Mi chiedo perché non l’abbia fatto prima: credo sia perché i cambiamenti repentini hanno il sapore di un trauma che lascia sgomenti, prima di lasciare spazio alle parole. Quello che non conosciamo ci paralizza o ci fa fare le cose più strane, di poco senso magari, ma che ci fanno stare un po’ meglio, ci sollevano un istante dall’angoscia che sentiamo salire in noi di fronte all’imprevedibilità.

Sentiamo tutti il bisogno di un programma, sentiamo l’esigenza di una nuova agenda della giornata, della settimana e del calendario dei prossimi mesi.

Non nascondo che, lavorando in libera professione, la sospensione delle attività abbia avuto effetti immediati che coinvolgono tutte noi, che possono aver contribuito all’angoscia rispetto al non sapere quando si tornerà alla normalità.

Abbiamo scelto di chiudere, per senso di responsabilità, rispetto al contenimento del virus e delle paure, e anche per prenderci la responsabilità di decidere, sollevando le famiglie almeno da questa scelta.

Un bambino ha chiesto alla mamma: “Lunedì dottoressa Maria?”. Mi sono chiesta che risposta sia possibile dare ai nostri fantastici bambini: hanno così pochi strumenti per comprendere e per loro la vita ha quotidianamente questo senso di imprevedibilità e sgomento.

Si dice che abbiano bisogno di prevedibilità e routine perché sono autistici, invece ne hanno bisogno solo perché sono uomini. La routine, saltata a loro come a noi in questa settimana milanese in zona gialla, è quello che conoscono, che hanno già fatto la fatica di comprendere. Quello che sta succedendo in questi giorni è nuovo e quindi è incomprensibile.

Sono sgomenta, lasciatemelo dire, nel vedere condividere sui social traduzioni in simboli che spiegano l’evento coronavirus (il più assurdo rappresentato da una corona e da un virus), come se visualizzare la parola contagio con una serie di frecce in su rendesse più chiaro un concetto tanto incomprensibile quanto imprevedibile anche per noi; come se si potesse condividere l’astrazione di concetti che noi abbiamo in qualche modo, spesso con tanta confusione, imparato a gestire e contenere con le parole, con questi bimbi adorabili che faticano ad imparare i significati e i nomi delle azioni che compiono ogni giorno.

Abbiamo tradotto tutto in immagini, anche quello che non abbiamo capito, anche quello che a loro non serve, come l’informazione di non assumere farmaci, e ci sentiamo di avere fatto il nostro dovere, di averli informati dandogli le nostre stesse opportunità di capire? Invece abbiamo solo continuato ad utilizzare le nostre parole, per tranquillizzare probabilmente più noi che loro.

Come si fa quindi a spiegare loro che cosa sta succedendo? Semplice: in tanti casi non si fa. Ci si inventa tante altre cose da fargli fare che ABBIANO PER LORO UN SIGNIFICATO; si presentano e si visualizzano con le parole a cui sanno dare un senso (oggetti, foto, simboli) e si costruisce loro una nuova agenda (un programma che valga almeno per noi grandi, se per loro è un concetto troppo astratto), sapendo che anche così condivideranno il nostro stesso sgomento; sapendo che anche così questi giorni senza scuola saranno durissimi per mamme, papà, nonne e nonni che non sapranno più cosa inventarsi per far passare il tempo.

In quest’ottica, aver chiuso lo studio, ha fatto mancare nella loro quotidianità un altro punto di riferimento importante che scandiva la loro settimana.

Spero di riaprire al più presto.

Maria Montuschi

 

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