Logopedia e autismo

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L’intervento logopedico nell’autismo: il significato al centro.

Il modello di Parole Tue nasce da oltre vent’anni di esperienza con bambini e ragazzi con Disturbo dello spettro autistico, grazie al tentativo continuo di adattare le competenze logopediche specifiche su linguaggio e comunicazione al loro stile unico di pensiero.

Il modello di Parole Tue prevede un intervento integrato e precoce, nell’ambito di una presa in carico multidisciplinare, con obiettivi nell’area del linguaggio e della comunicazione, che si svolge in modalità diretta (con il bambino) e indiretta (con genitori e insegnanti). L’obiettivo principale della presa in carico è sostenere e potenziare i significati della persona, a vari livelli:

  • nella quotidianità e quindi in tutti i contesti di vita, fornendo segnali visivi e concreti immediatamente comprensibili a supporto della comprensione verbale;
  • in trattamento, potenziando l’acquisizione e la generalizzazione di significati visivi e concreti e sviluppando nuove abilità di comprensione verbale;
  • sul versante espressivo, offrendo modelli di “parole” da riprodurre, attraverso i canali gestuale, visivo o verbale, che siano contestuali e significative per il bambino, anche sul piano dell’emozione, all’interno del gioco e nello scambio comunicativo;
  • sul versante della narrazione, lavorando su prerequisiti essenziali per permettere alla persona, di raccontarsi a parole sue, anche con un linguaggio limitato sul piano verbale e attraverso l’ausilio di supporti visivi.

Frasi fatte” (e sbagliate) in tema di logopedia e autismo


Il bambino non è ancora pronto per la logopedia”

Cosa vuol dire essere “pronti per la logopedia”? Saper stare seduti? Saper comunicare? Avere già iniziato a parlare?

Il logopedista dovrebbe intervenire precocemente con una valutazione delle abilità comunicative, linguistiche (ricettive ed espressive) e oromotorie e prendere in carico il bambino il prima possibile, anche con un trattamento logopedico diretto concertato con gli altri interventi in atto.


Parla, adesso è pronto per la logopedia”

Ancora troppo spesso chi decide il progetto riabilitativo del bambino aspetta che il linguaggio espressivo compaia prima di inviarlo alla valutazione logopedica.

La conseguenza di questa modalità di procedere fa sì che il bambino arrivi da un logopedista a quattro, cinque, anche sette anni, quando i cambiamenti sono più lenti e senza che nessuno abbia mai dato prima risposte a domande specifiche, che riguardino ad esempio la comprensione o le abilità alimentari.


Parla, non ha bisogno della logopedia”

Quando il linguaggio espressivo compare ed è “pulito” sul piano dell’articolazione, non sembrerebbe neanche esserci un problema di interesse logopedico.

Questa idea sbagliata, che vede il logopedista solo come l’aggiusta-fonemi della riabilitazione, fa perdere l’opportunità di un intervento specifico precoce sulle altre aree del linguaggio e della pragmatica.


Ha bisogno di un po’ di logopedia perché non dice la erre”

Alcuni programmi di intervento procedono in modo lineare sul linguaggio, ambito per ambito senza vedere le abilità linguistiche come un processo complesso integrato. Per cui si procede, ad esempio, col proporre al bambino sillabe da ripetere “con tutte le lettere” e al primo intoppo viene richiesto l’intervento della logopedia. Così capitano richieste di completare inventari fonetici in linea con l’età del bambino (ad esempio “erre” a tre anni a tutti i costi) oppure molto meno compromessi rispetto ad altri aspetti del linguaggio e della comunicazione rimasti indietro.

 

Il bambino non collabora”

Che cosa significa che il bambino non collabora? Che non fa i test? Che non risponde alle nostre richieste di indicare o di parlare? Che non sta seduto?

È evidente che ogni bambino non collabora a proposte che per lui non hanno alcun significato.

Allora cerchiamo ciò che è significativo per ciascun bambino e facciamolo diventare significativo per quanto ci serve osservare, comprendere ed insegnare.


Non ho la stanza adatta”

Spesso è il logopedista a fare un passo indietro rispetto alla complessità del Disturbo dello spettro autistico. Accade sempre più raramente perché si è compreso che accogliere persone con uno stile di pensiero così particolare è una palestra che ci regala l’opportunità di rendere la logopedia un intervento flessibile, creativo e capace di ascolto.


Prima deve imparare a comunicare poi a parlare”

Il bambino impara a parlare nella relazione, quindi nella comunicazione: è impossibile definire dei confini netti. Il logopedista è il professionista sanitario per eccellenza che unisce competenze specifiche su comunicazione e linguaggio.


I logopedisti insegnano le parole non insegnano a parlare”

I logopedisti devono insegnare parole che siano funzionali alla comunicazione ed immediatamente spendibili nell’interazione, secondo i significati di ciascun bambino. Guai ad appiccicare solo etichette verbali ed insegnare unicamente a ripetere o denominare!


Per poter iniziare la logopedia il bambino deve saper dire almeno 50 parole”

Prima di iniziare a parlare il bambino impara a prestare attenzione alle parole e a dare a queste significato: non parla ma comprende già molte cose e sta già comunicando con altre forme. In molti casi è proprio l’intervento del logopedista che, attraverso un intervento diretto e indiretto, crea le condizioni perché il bambino faccia l’esperienza delle sue prime parole.

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