Linguaggio metaforico... una patata bollente!

Linguaggio metaforico... una patata bollente!

Qualcuno crede ancora che per comprendersi basti parlare la stessa lingua? Nelle comunicazioni di tutti i giorni, saper tradurre un codice, in altre parole comprendere il significato letterale di una frase, è tutt'altro che sufficiente. Questo perché, come ci insegna Paul Grice (1957), ciò che viene detto può differire anche molto da quello che il parlante intende. Le metafore ne sono un classico esempio che vìola tutte le regole combinatorie dei significati: regole per cui è generalmente condiviso che un uomo non vola né abbaia e che al bambino non può essere attribuito l'aggettivo di anziano. Nel mondo delle metafore invece si può volare alto e due fratelli possono essere cane e gatto. Sembrerebbe che il parlante acquisisca una serie di frasi fatte quasi indeclinabili (per cui si può dire ho preso un granchio, ma non che il granchio è stato preso da me) che riconosce e comprende quando le incontra nei più svariati contesti. In che modo avvenga questo processo di apprendimento che ci consente di apprendere un "vocabolario" di metafore più o meno ricco è ancora un tema molto complesso: tuttavia sappiamo che nel Disturbo dello spettro autistico, anche con un livello intellettivo nella norma o superiore, tutto ciò non avviene come dovrebbe. Molti bambini diventano consapevoli che quando una frase è parecchio strana "è un modo di dire" e imparano a tavolino il significato delle espressioni più comuni. Tuttavia, resta un istinto all'interpretazione letterale che determina una certa lentezza nel compito di elaborazione rapida della conversazione. Non solo, le espressioni idiomatiche, cugine strette delle metafore propriamente dette, che a loro volta determinano una violazione del significato, arricchiscono il nostro eloquio quotidiano. Potrei infatti dire a qualcuno di non abbaiare, se sta usando un tono di voce troppo alto e modalità scomposte, o rispondere ad un collega, parlando di un progetto in sospeso, che questo weekend ci metterò la testa. Nello stesso modo utilizziamo abitualmente espressioni da non intendersi in modo letterale, come alzare le mani, essere stanchi mortiallargare il cuore, impazzire, perdersi (perdere il filo discorso)... Più volte, in questi casi, i nostri bambini accedono istintivamente a significati letterali da correggere, nella migliore delle ipotesi, con un dispendio di attenzione e un rallentamento nell'elaborazione delle informazioni; altrimenti capita di fraintendersi. Alessandro Zijno,  attraverso la teoria della pertinenza di Sperber e Wilson, prova a spiegarci come tutto ciò possa essere istintivo ed economico nell'uomo, nel suo saggio Fortunatamente capita di fraintendersi (ed. Unipress Padova, 2004), studiato in gioventù e che vale sempre la pena rileggere.

Intervenire, nell'ambito della pragmatica del linguaggio, su queste difficoltà, porta di frequente ad insegnare le metafore, dimenticandosi di quanto vasta sia questa catalogazione e quanto nel linguaggio quotidiano ricorriamo molto più frequentemente ad espressioni idiomatiche non sempre catalogabili come metafore vere e proprie. Federica Casadei, nel 1994, ne raccoglieva 3.064, organizzate in 4 domini: lo spazio, il movimento e le forze, il corpo, i domini culturali (Metafore ed espressioni idiomatiche, uno studio semantico sull'italiano, Bulzoni Ed. 1996).

Data la vastità degli usi metaforici del linguaggio, sarebbe impensabile provare ad insegnarli uno ad uno: pensiamo, ad esempio, all'espressione ho parcheggiato i bambini da mia madre, che non rientra neanche nel corpus della Casadei, oppure ad affermazioni ancor più frequenti, come non c'è stato niente da fare.

La nostra ipotesi riabilitativa è che sia possibile individuare delle classi di metafore e regole che stanno alla base del loro utilizzo, che ne consentano il riconoscimento e la comprensione, generalizzabili ad espressioni metaforiche udite per la prima volta. Ma, ancor prima, la sfida, la vera patata bollente, sarà rendere quanto possibile consapevole il bambino delle incongruenze semantiche e promuovere le abilità che gli permettano di inferire il significato inteso da chi parla.

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